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Distanze legali: la costruzione dell'ascensore esterno non deve rispettare le distanze legali indicate nel Codice Civile.

  • avvocatoelisaguerr
  • 3 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

La sentenza n. 11930 del 6.05.2025 emessa dalla II Sezione della Cassazione ha stabilito che: "in tema di distanze legali tra fabbricati, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l'opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi - quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore - di una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa".

Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto errata la decisione della Corte di Appello nell'applicazione delle norme e nozioni valevoli in tema di distanze tra costruzioni ex art. 873 e ss c.c. laddove ha ritenuto che il manufatto, realizzato all'esterno del palazzo, destinato ad ospitare la cabina dell'ascensore possa essere considerato sub specie di volume tecnico. Parimenti ha errato a ritenere che il manufatto possa comunque rientrare nell'ambito della disposizione eccezionale di cui all'art. 3 della legge n. 13 del 1989, la cui applicazione è riservata all'ipotesi in cui l'opera da realizzare per abbattere le barriere architettoniche sia collocata in un contesto condominiale e a condizione che, tra di essa ed il bene di proprietà individuale, sia interposto uno spazio o area di proprietà comune.

La Cassazione, proprio con riferimento all'ipotesi della realizzazione di un ascensore esterno all'edificio, ha affermato che "[…] l'articolo 3, comma 1, della legge n. 13 del 9 gennaio 1989, prevede espressamente che "Le opere di cui all'articolo 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati". L'articolo 2 della legge in questione, richiamato dall'articolo 3, comma 1, dispone, invece, che "Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile". Emerge, quindi, con evidenza, da un mero esame letterale della normativa richiamata che le opere a cui fa riferimento l'articolo 3, comma 1, sono solo quelle necessarie a rimuovere le barriere architettoniche all'interno di edifici condominiali, essendo le disposizioni menzionate finalizzate ad impedire che l'inerzia od il rifiuto degli altri condomini comportino un danno per il soggetto con difficoltà di deambulazione.

3 Luglio 2025

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